In un periodo storico dilaniato dal disarmo culturale, onoriamo la nascita di JL Moreno con una intervista immaginata pubblicata su "Conflitti", prestigiosa rivista italiana di Psicopedagogia, n° 2/2022. Desideriamo celebrare con questo articolo un uomo che ha generato creativamente Cultura attenta alle esigenze della Vita, declinata nel singolo individuo e nel gruppo in cui ognuno si trova.
Intervista immaginata a JL Moreno (1889-1974) inventore dello psicodramma e della sociometria
di Marco Greco e Maria Cristina Sidoni
Dott. Jacob Levi Moreno, buongiorno…
Può chiamarmi JL come molti usavano fare… Il mio nome è frutto di una mia parziale invenzione: in realtà fui io a introdurvi Moreno che era il nome di mio padre, un ebreo sefardita di una famiglia di origini spagnole che si stabilì in Turchia e quindi a Bucarest dove nacqui… anche se nella mia autobiografia (Il profeta dello psicodramma, Di Rienzo ed, ndr) ho preferito segnalarmi come nato su una nave durante la traversata del Mar Nero… a indicare che mi sento figlio del confine o della terra di nessuno.
Va bene, JL… Cosa possiamo dire ai lettori di una rivista che si chiama Conflitti in un periodo così complesso e funestato per il nostro continente e non solo?
Sono della generazione che ha vissuto due conflitti mondiali e, per quanto la tecnologia possa cambiare, la distruzione fisica e psicologica rimane dirompente a tutti i livelli. Nel periodo della Grande Guerra, ero un giovane dottore che fu mandato tra le altre missioni ad occuparmi di un campo di rifugiati a Mittendorf vicino a Vienna… C’erano anche italiani sfollati dalla zona di confine coinvolta dalla guerra: una situazione tremenda! Mi ero laureato a Vienna nel 1917 dopo una gioventù di studi forsennati e attivismo giovanile: con cinque giovani amici universitari avevamo promosso tra il 1908 e il 1914 "la Religione dell'Incontro" basata sulla generosità indistinta per tutti quelli che incontravamo, comprese le prostitute del quartiere a luci rosse di Spittelberg, che aiutammo ad organizzarsi per contenere le vessazioni sociali e istituzionali. Avevo anche incontrato il vecchio prof. Freud e non esitai a dirgli che al setting artificiale del suo studio, preferivo incontrare le persone nelle strade e nelle loro case, nel loro ambiente. “Lei analizza i loro sogni. Io do loro il coraggio di sognare ancora. Lei le analizza e le scompone. Io consento loro di agire i loro ruolo conflittuali e le aiuto a comporre le parti separate": questo gli dissi (sorride).
Nei campi di evacuazione in Austria e in Ungheria, oltre a fare il medico, cominciai a studiare e a misurare le relazioni che legano i componenti dei gruppi e i vari gruppi tra loro: inventavo i primi passi della Sociometria. Scoprii che l'intervento sull'atomo sociale può avere un effetto terapeutico di grande efficacia per il benessere dei singoli e dei gruppi e intervenni concretamente per rendere la convivenza di quella gente meno gravosa.
E dopo la Grande Guerra?
Ripresi a fare il medico e il ricercatore: dal 1918 al 1922 pubblicai a Vienna la rivista Daimon assieme a giovani intellettuali, quali Adler, Schnitzler, Buber e Brod. Il titolo della rivista si riferisce alla parola greca che indica il Genio, lo spirito buono e quello cattivo che convivono nell'essere umano: la guerra ce lo aveva reso ben visibile! Dal 1918 feci l’Ufficiale sanitario a Bad Vöslau, a 40 chilometri a sud di Vienna: l'incarico di medico della fabbrica tessile mi permetteva di prestare i miei servizi gratuitamente agli abitanti del paese... Quando vi tornai in visita nel 1969, mi ricordavano ancora con affetto.
La definirono WunderDoktor…il medico delle meraviglie…
Dopo gli orrori della Grande Guerra avevo chiara la responsabilità di trovare nuove idee, nuovi modi per supportare i singoli, i gruppi sociali, l’Umanità tutta a vivere in pace, in termini costruttivi di creatività e spontaneità. Scrissi "Le parole del padre", un testo poetico, centrato sull'archetipo del Padre, della Creazione e della Divinità e a Vienna sperimentai un nuovo tipo di teatro: il 1 Aprile 1921 misi una poltrona vuota sul palcoscenico del Komodienhaus invitando i presenti a sedervisi e ad agire il ruolo del Re… da lì sviluppai il Teatro della spontaneità, in cui si apriva un flusso relazionale tra spettatori e attori, senza copioni prefatti e con un innovativo modo di vivere sulla scena vari punti di vista. L’esperienza della Guerra sollecitava esigenze di germinazioni profonde e autentiche in ognuno di noi: dovevamo riprenderci in mano la vita personale e sociale e urgevano palcoscenici e entusiasmi nuovi.
Poi arrivò l'America...
Sì, all’inizio degli anni ’20 le atmosfere si incupivano, e non riuscivo a decollare con le nuove idee. Approdai nell'ottobre del ‘25 a New York per brevettare una macchina di registrazione del suono inventata con l’amico Lornitzo, fratello di Marianne, la mia donna-musa di quegli anni, con cui avevo sviluppato i primi concetti del metodo psicodrammatico. Mi resi conto che il Nuovo Mondo poteva accogliere la mia voglia di esplorare le interazioni sociali all'interno dei gruppi con interesse a livello accademico e istituzionale e mi trasferii definitivamente negli Stati Uniti dove metto a fuoco la teoria dei ruoli e getto le basi della terapia di gruppo. Sono gli anni Trenta e sperimento la Sociometria presso il carcere di Sing-Sing, nell'Istituto correzionale femminile di Hudson, misurando le tensioni affettive e i livelli di vicinanza, distanza e reciprocità tra i membri del gruppo e affino la tecnica dei giochi di ruolo per la formazione, la prevenzione, la scuola, le comunità, oltreché nella psicoterapia. Fondo in una cittadina vicino a New York il Beacon Institute, una clinica psichiatrica ma anche scuola di formazione e casa editrice che richiama medici, sociologi, psichiatri e ricercatori da tutto il mondo. Nel 1937 costruisco un nuovo modello di teatro con palco circolare che mi aiuta a sviluppare lo psicodramma in termini terapeutici. Il successo è grande e lo psicodramma entra negli ospedali psichiatrici (come il St. Elizabeth a Washington), fino ad allora concentrati sull’utilizzo di strumenti di contenzione ed elettroshock. Anche il mondo del cinema mi chiede collaborazioni e si ispira alle mie tecniche psicodrammatiche negli Actors Studio: alcuni film degli anni ‘40 come “Io ti salverò” e “Marnie” ne hanno le suggestioni.
E il legame con l’Europa?
Rimane forte: negli USA la percezione del totalitarismo, dell’isolamento e del condizionamento psicologico, e del conflitto orrendo che scoppia in Europa è palpabile. Con Zerka Toeman, la mia ultima moglie, anche lei europea, percepiamo ancora di più l’urgenza di affinare metodi e approcci che definiscano una cultura umana che vada in senso opposto: l’uomo non sopravvive da solo…il gruppo sociale che si fonda sul dialogo, il confronto, l’accoglienza emotiva è la chiave della nostra esistenza. Non amavo la corsa forsennata alla robotizzazione anche per questo motivo: bisogna essere molto cauti a rimpicciolire la sfera d’azione relazionale diretta tra le persone… Ne avevo avuto percezione fin da giovane, quando, dopo l’Università, intrattenevo i bimbi nel parco Augarten, vicino a casa, e facevo loro sperimentare storie che si inventavano lì per lì: guardarsi negli occhi, scambiarsi emozioni, essere empatici ci aiuta profondamente a metterci nei panni dell’altro e a vivere bene insieme. Ecco perché, nel dopoguerra, viaggerò tantissimo per diffondere anche la filosofia che sottende al mio metodo: sarò spesso in Europa, soprattutto a Parigi, dove con la mia strepitosa allieva francese Anne Ancelin Schützenberger (nota anche al grande pubblico come inventrice della Psicogenealogia, ndr) si organizzerà il Primo Congresso Internazionale di Psicodramma nel 1964 e dove, ancor prima, nel 1956, Rossellini accompagnato da un giovanissimo Claude Lelouch, si interessò alle mie sperimentazioni con gli attori della radio televisione francese. Andai anche a Londra; a Torino, in qualità di ospite di un convegno di Psicologia Sociale organizzato dalla professoressa Massucco Costa nel 1954; a Ivrea, dove ricevetti in dono la mitica Lettera32 dalla Olivetti, e persino oltre la cortina di ferro, a Mosca, nel 1959.
Da allora lo psicodramma e il sociodramma, che ne è la applicazione ai grandi gruppi, si sono diffusi in tutto il mondo, dalle piazze post dittatura in America Latina ai difficili territori Israelo-palestinesi, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle case per anziani. Moreno ci ha dimostrato come si possa attivare la creatività del singolo e del gruppo al fine di capire meglio sé, affrontare le criticità e prendersi cura responsabilmente del benessere individuale e sociale nella modalità più consona per tutti, senza escludere nessuno.
JL Moreno muore il 14 maggio 1974, a Beacon, in seguito a una crisi cardiaca, e viene sepolto a Vienna, secondo i suoi desideri, con questa iscrizione: “Fondatore della Sociometria, della Psicoterapia di gruppo, dello Psicodramma: L’uomo che portò la gioia e il sorriso nella psichiatria”.